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Intelligenza artificiale, il primo accordo mondiale sui rischi

Intelligenza artificiale, il primo accordo mondiale sui rischi



Da Wired.it :

Unione europea, Regno Unito, Stati Uniti, Cina e i governi di altri 25 paesi hanno sottoscritto la prima dichiarazione mondiale sui rischi derivanti dall’intelligenza artificiale, concordando nell’indicare le sue conseguenze più pericolose come una minaccia potenzialmente catastrofica per l’umanità. È così nata la dichiarazione di Bletchley, dal nome dell’ex centro di critto-analisi di Londra, in cui venne decifrato il codice nazista Enigma e che oggi ospita il primo summit mondiale sull’intelligenza artificiale.

Cosa c’è nella dichiarazione

“Molti rischi posti dall’intelligenza artificiale sono di natura intrinsecamente transnazionale e quindi possono essere affrontati al meglio solo attraverso la cooperazione internazionale. Decidiamo di lavorare insieme in modo inclusivo per garantire lo sviluppo di un’intelligenza artificiale affidabile e responsabile, che sia sicura, sostenga il bene di tutti e abbia al suo centro il benessere dell’umanità”, si legge nel testo della dichiarazione.

Tra questi rischi, la dichiarazione ne elenca alcuni che possono avere un impatto significativo anche nella vita di tutti i giorni, potendo mettere in pericolo i diritti umani, la protezione della privacy e dei dati personali, la trasparenza e la responsabilità delle istituzioni o l’affidabilità della stampa, così come contribuire ad aumentare i pregiudizi o le diseguaglianze.

Pertanto, i 28 governi, più i rappresentanti dell’Unione europea, hanno deciso di cooperare per “identificare i rischi per la sicurezza di interesse comune posti dall’intelligenza artificiale, arrivare a comprendere la portata di tali pericoli attraverso i dati scientifici e aumentare le capacità umane di comprensione e risposta a tali rischi, attraverso un approccio condiviso a livello globale che sia in grado di comprendere il reale impatto dell’intelligenza artificiale nelle nostre società”.

Gli impegni

Di conseguenza, l’obiettivo finale è di arrivare a tutelare l’intera umanità da questi pericoli tramite lo sviluppo di “politiche basate sull’individuazione del rischio, volte a garantire “la sicurezza globale e nei diversi paesi”, ma implementate attraverso la collaborazione e il riconoscimento delle differenze dovute “alle circostanze nazionali e ai quadri giuridici applicabili”.

Per farlo, continua la dichiarazione, sarà necessario pretendere una “maggiore trasparenza da parte degli attori privati che sviluppano le intelligenze artificiale”, aumentare gli strumenti per “la verifica della sicurezza”, sviluppare “parametri di valutazione adeguati e standardizzati” e aumentare la presenza degli stati nel settore, attraverso la creazione di centri di ricerca e sviluppo pubblici che studino l’intelligenza artificiale.

La dichiarazione di Bletchley è quindi il primo documento nella storia ad aprire “un’ampia collaborazione internazionale sull’intelligenza artificiale”, seguendo le orme lasciate dai trattati sulla non proliferazione delle armi atomiche, nell’ottica di perseguire il bene collettivo e tutelare l’umanità dalle sue invenzioni più dirompenti e potenzialmente distruttive.



[Fonte Wired.it]

It Follows: in arrivo They Follow, il sequel del film horror

It Follows: in arrivo They Follow, il sequel del film horror



Da Wired.it :

I fan dei film dell’orrore attendevano questa notizia da tempo: It Follows, la pellicola di David Robert Mitchell uscita nel 2014, avrà un sequel intitolato They Follow. In questo secondo capitolo tornerà anche l’attrice Maika Monroe, che nell’originale interpretava una diciannovenne che contrae per via sessuale una specie di maledizione venendo dunque perseguitata da una figura multiforme. Alla fine di quel film, la protagonista Jay e il suo compagno Paul affrontano la creatura e sono convinti di averla eliminata in una piscina; nonostante siano convinti di essersi liberati della persecuzione, i due sono seguiti nelle ultime scene da un uomo misterioso, simbolo che la maledizione sta probabilmente ancora facendo il suo corso.

Nonostante non si sappia ancora nulla della trama del sequel, è probabile che They Follow riparta proprio da dove il primo film si era fermato. It Follows, del resto, era stata uno successo straordinario, arrivando a raccogliere all’epoca dell’uscita 21,9 milioni di dollari al botteghino, a fronte di un costo produttivo di un milione. Per diversi anni si era parlato di un possibile secondo film, appunto, con Tom Quinn della casa di produzione Neon che suggeriva che la trama sarebbe stata incentrata sul rintracciare le origini dell’inquietante creatura, andando a ricostruire chi aveva contratto quella strana persecuzione in precedenza. Anche questa ipotesi, però, non è stata poi confermata ed è ancora da capire se rimarrà valida nella sceneggiatura della nuova pellicola.

Superato come si spera lo sciopero degli attori, They Follow dovrebbe iniziare le riprese nel corso del prossimo anno con un’uscita probabile nel 2025, a oltre dieci anni dal primo capitolo. Nel frattempo la carriera di Maika Monroe è continuata: dopo il thriller The Guest, girato sempre nel 2014, è stata vista in numerosi titoli come Independence Day: Rigenerazione, Greta, Tau e Watcher mentre di recente ha terminato le riprese di Longlegs, che la vede a fianco di Nicolas Cage.



[Fonte Wired.it]

Tumore al pancreas: scoperto un meccanismo che ne promuove la crescita

Tumore al pancreas: scoperto un meccanismo che ne promuove la crescita



Da Wired.it :

Per il tumore al pancreas, ancora oggi tra le neoplasie più letali, potremmo avere un’arma in più. Quella di riuscire a bloccare un nuovo meccanismo che promuove la crescita di questo tumore. A scoprirlo è stato un team di ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che in un nuovo studio (ancora in fase preclinica) suggerisce come questa potrebbe essere una potenziale strategia terapeutica capace di fermare l’insorgenza del tumore al pancreas in persone a rischio o per potenziare le risposta nei pazienti all’immunoterapia. La ricerca è stata pubblicata su Nature.

I macrofagi e il tumore al pancreas

I ricercatori si sono concentrati sul ruolo di un particolare tipo di cellule del sistema immunitario innato, i macrofagi, che hanno il compito di proteggere i tessuti e attivare rapidamente le risposte contro i patogeni. Nei tumori, tuttavia, sappiamo che i macrofagi possono riprogrammare la loro attività, arrivando addirittura a sostenere la progressione della neoplasia. In particolare, queste cellule associate ai tumori (chiamate Tam) sono già prese di mira dall’immunoterapia, dato che la loro quantità è associata generalmente alla resistenza ai trattamenti, metastasi e una minor sopravvivenza. Tuttavia, le complesse interazione dei macrofagi con l’ambiente tumorale hanno reso difficile fino ad oggi far sì che queste cellule diventassero un bersaglio terapeutico.

“Oltre a essere caratterizzato da un sistema immunitario compromesso che limita l’efficacia anche delle più avanzate immunoterapie, il tumore del pancreas presenta una forte componente infiammatoria”, spiega Renato Ostuni, coordinatore della ricerca. “Ciò è particolarmente rilevante poiché l’insorgenza di danni ai tessuti e le risposte infiammatorie che ne conseguono, quali le pancreatiti, sono noti fattori di rischio per lo sviluppo neoplastico”.

Infiammazione e progressione della malattia

Nel nuovo studio, i ricercatori sono riusciti finalmente a capire da cosa dipenda la capacità dell’infiammazione nel promuovere la crescita tumorale. In particolare si sono concentrati sull’interazione dei macrofagi, chiamati IL-1β+, e alcune cellule tumorali caratterizzate da uno specifico profilo infiammatorio e da un’elevata aggressività nell’adenocarcinoma duttale del pancreas (Pdac). Servendosi di tecnologie innovative, quindi, i ricercatori sono riusciti a individuare un nuovo sottogruppo di macrofagi, chiamati IL-1β+ TAM, capaci di stimolare l’aggressività delle cellule tumorali nelle loro vicinanze. Come spiegano i ricercatori, infatti, gli IL-1β+ TAM sono localizzati in piccole nicchie vicino alle cellule tumorali infiammate ed è proprio questa vicinanza fisica tra macrofagi e cellule tumorali che potrebbe sostenere la progressione della malattia.

Più precisamente, i macrofagi inducono una riprogrammazione infiammatoria e promuovono il rilascio di fattori che, a loro volta, favoriscono lo sviluppo e l’attivazione degli IL-1β+ TAM. “Si tratta di una sorta di un circolo vizioso autoalimentato, commenta Ostuni. “I macrofagi rendono le cellule tumorali più aggressive, e le cellule tumorali riprogrammano i macrofagi in grado di favorire l’infiammazione e la progressione della malattia. Abbiamo condotto esperimenti per studiare come interferire con questo circuito”. E i risultati, seppure ottenuti per ora in studi di laboratorio, sono incoraggianti. “Questo approccio ha portato infatti a una riduzione dell’infiammazione e a un rallentamento della crescita del tumore del pancreas, aggiungono Nicoletta Caronni e Francesco Vittoria, tra gli autori dello studio.

Fermare il circuito

Bloccare questo meccanismo infiammatorio, quindi, potrebbe essere utile per aumentare l’efficacia delle immunoterapie contro il Pdac, ma anche come strategia di prevenzione nelle persone a rischio. “Le mutazioni del dna sono un elemento necessario ma non sufficiente per lo sviluppo di un tumore. Le risposte infiammatorie e i danni ai tessuti possono cooperare con le mutazioni per aumentare il rischio di molte neoplasie, tra cui quelle del pancreas”, conclude Ostuni. Sebbene sia stato fatto un importante passo in avanti, siamo, tuttavia, ancora in una fase preclinica ed è per questo che serviranno ulteriori indagini per comprendere meglio e agire su questo nuovo bersaglio terapeutico.



[Fonte Wired.it]

Smart working: ci dice quanto un’azienda è pronta al futuro

Smart working: ci dice quanto un’azienda è pronta al futuro



Da Wired.it :

Le organizzazioni sono efficaci ed efficienti quando sono adeguate al futuro: il cuore
dell’attività gestionale è dotarsi di strumenti in grado di supportare (e monitorare) il grado di
adeguatezza al futuro. Ma quale futuro? Prevederlo ormai è impossibile. L’oggi è talmente incerto che fare previsioni anche solo a breve termine diventa arduo. Ci sono eventi di natura geopolitica che costringono a rivedere le sedi all’estero e i fabbisogni energetici, dobbiamo fare i conti con le catastrofi legate al cambiamento climatico, senza tralasciare i trend demografici davvero scoraggianti, in primis la denatalità.

Sono tutti elementi che impattano in maniera forte ed evidente sulle imprese, molto più di quanto non accadesse in passato: una certa garanzia di marginalità rendeva estremamente discrezionale la scelta degli strumenti gestionali. Oggi i margini risicati con cui manager e imprenditori devono fare i conti in un mercato sempre più competitivo e incerto (Bani e Vuca sono gli acronimi che lo descrivono) li inducono a scelte pressoché obbligate: non è possibile infatti prescindere da una dinamica demografica che vede la popolazione aziendale invecchiare in modo progressivo e
irreversibile, costringendo alla convivenza generazioni con importanti gap anagrafici.

Non è altresì possibile ignorare le questioni digitali, e dell’innovazione tecnologica o esimersi dal
definire il proprio scopo imprenditoriale, la propria mission e vision, comunicandola correttamente e in modo trasparente al mercato, ai consumatori, al territorio e agli stakeholder chiarendo la quota di responsabilità sociale che ci si assume. L’obiettivo della marginalità e sopravvivenza dell’azienda passa dalla sua capacità di attrarre le risorse più capaci e competenti e poi di trattenerle motivandole, condividendo strategie, obiettivi e risultati raggiunti.

A ben guardare però, le organizzazioni hanno a disposizione uno strumento in grado di
affrontare con consapevolezza le sfide e mettere a terra una struttura resiliente e orientata al
futuro: il lavoro agile. A prescindere dal fatto che l’organizzazione decida o meno di
implementarlo, i processi che lo smart working costringerebbe a rivedere sono il fulcro di
un’organizzazione future-oriented. La nostra survey sulla regolazione aziendale dei nuovi
modi di lavorare conferma proprio che le organizzazioni non vivono più lo smart working soltanto con l’obiettivo di conciliare lavoro e vita privata: se nel 2022 primeggiava il work-life
balance, nel 2023 al primo posto tra gli scopi di implementazione dello smart working col
40% dei rispondenti troviamo l’innovazione dei modelli organizzativi.



[Fonte Wired.it]

Five Night’s at Freddy’s più che un horror è un film dei Teletubbies

Five Night’s at Freddy’s più che un horror è un film dei Teletubbies



Da Wired.it :

Nel 2014 Five Nights at Freddy‘s faceva la sua comparsa tra gli appassionati di videogiochi horror. Col tempo la saga sarebbe diventata un simbolo delle produzioni indipendenti, con tanta fantasia e un intero universo narrativo capace di catturare per l’atmosfera paranoica e tesissima. Era solo questione di tempo prima che se ne facesse un film ma a vedere il risultato ottenuto da Emma Tammi, c’è veramente da mettersi le mani nei capelli.

Un film mal concepito e senza una vera identità

Five Nights at Freddy’s partiamo col dire che ha in comune con la trama e l’ambientazione videoludica originale giusto il necessario, per il resto rinnega a livello crescente ciò che sapevamo della avventure di Mike Schmidt. Il risultato finale è una sorta di ibrido di difficile identificazione, perché se da un lato la Tammi usa la sceneggiatura scritta assieme a Scott Cawthon e Seth Cuddeback per cercare di delineare un minimo di storia pregressa a quella pizzeria maledetta, dall’altro il tono scelto è assolutamente sbagliato. Ad ogni modo, in Five Nights at Freddy’s facciamo subito la conoscenza di Mike (Josh Hutcherson), che vive alla meno peggio assieme alla sorellina Abby (Piper Rubio), di cui si prende cura come meglio può. Mike passa da un lavoro all’altro senza ordine di continuità, visto che non riesce a tenere a freno comportamenti distruttivi e spesso assolutamente folli. Il motivo è semplice: molti anni prima, appena 11enne, è stato testimone del rapimento del fratellino, mai più ritrovato. Un trauma che ogni notte lo perseguita, e sovente gli fa compiere ogni genere di sciocchezza, costringendolo infine ad accettare la proposta del suo consulente del lavoro Steve (Matthew Lillard): lavorare come guardiano notturno al Freddy’s.

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Il cinema che racconta il lato oscuro dei sogni, tra mostri che terrorizzano i bambini e paure notturne che diventano realtà

Freddy’s era una pizzeria/sala videogiochi molto in voga negli anni ’80, con pupazzi elettronici che animavano le serate per famiglie. Ora però il posto è stato chiuso ed è dove Mike dovrà passare delle intere notti. Naturalmente nel giro di poche ore si renderà conto che i pupazzi elettronici non sono affatto così arrugginiti come potrebbe sembrare e che quel posto in rovina, nasconde un terribile segreto, a cu è connesso più di quanto immagini. Il tutto mentre la crudele Zia Jane (Mary Stuart Masterson) cerca di prendersi Abby, e con la sola agente Vanessa (Elizabeth Lail) che pare disponibile a dargli una manao, mentre Freddy’s diventa una trappola oscura. Five Nights at Freddy’s messa così vi pare un mix di già visto e già sentito? Avete assolutamente ragione, ma c’è di più. Il film è assolutamente incapace di abbracciare un minimo di horror in modo continuo e genuino. Al massimo si degna di fare qualche citazione, di riciclare qualche cliché, senza però legare il tutto a qualcosa di minimamente connesso al genere, alla sua semantica, ai suoi simboli. Non ci si spaventa manco per scherzo e il divieto a minori di 14 anni appare una presa in giro, una barzelletta, se consideriamo cosa veramente l’horror è stato capace di regalarci anche in questi ultimi anni. Qui non c’è niente che valga la pena essere ricordato, niente di minimamente sensato o capace di attrarre anche uno spettatore non amante del genere tout court.

Five Nights at Freddy’s non merita di essere definito horror

Protagonista del film è Josh Hutcherson, che tutti abbiamo conosciuto ai tempi di Hunger Games. Sono passati gli anni ma è incredibile come rimanga lo stesso blocco di marmo inespressivo, come non sia migliorato minimamente da quando fu miracolato al fianco di Jennifer Lawrence. Qui mette il suo sguardo tra lo sperduto e l’asociale al servizio di un personaggio tra i più irritanti e peggio caratterizzati del genere, ivi comprese l’universo delle produzioni di serie B. Ed è questo il punto interessante, perché Five Nights at Freddy’s è costato 25 milioni di dollari, ma dove siano finiti non è chiaro. Gli effetti speciali e visivi sono vecchio di una dozzina d’anni, la fotografia di Lyn Moncrief non basta a ridare credibilità ad un film che ad un certo punto vira verso l’atmosfera da Teletubbies. Si esatto, avete letto bene, un film horror che ad una certa diventa una sorta di kid movie educativo, con tanto di bambina che ride per il solletico o simili. Ma non era un film dell’orrore questo? Si respira un’atmosfera di assoluta mediocrità che interessa la regia (forse la peggiore vista in un horror quest’anno), colonna sonora, svolte narrative e soprattutto il finale. Il finale è veramente insipido, mal scritto, malcontento e interpretato senza un bricioli di ispirazione. La Zia Jane come altri personaggi appare poi inutile ai fini della trama, senza una singola necessità di esistere nell’iter narrativo se non aggiungere un orpello tanto per.

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Una docuserie dal 27 ottobre su Apple Tv+ sui fenomeni paranormali degli anni ‘70. Noi cogliamo l’occasione per fare la cronaca di quanto davvero accaduto con una sorpresa: i detective dell’occulto Warren di Conjuring 2 c’entrano poco

Five Nights at Freddy’s rappresenta l’ennesima occasione persa per chi voleva coniugare universo videoludico e mercato audiovisivo. Come nel recente Winnie The Pooh, non vi è né la connessione allo slasher, né quella di creare al limite una parodia del genere, né tantomeno l’audacia di unire le due componenti come a suo tempo fece benissimo Scream. Il film si prende sul serio dove non dovrebbe, è superficiale per non dire di peggio nei momenti topici e soprattutto prevedibile in ogni sua componente degna di nota. I personaggi poi sono uno peggio concepiti dell’altro, non vi è alcuno sviluppo, alcuna motivazione soddisfacente. Fatto ancora più grave, Five Nights at Freddy’s non usa quasi nessuno degli elementi iconici del gioco, soprattutto quando si parla dei giganteschi animali robotici, diventando infine una sorta di parodia involontaria. Non appare neppure chiaro a chi abbia mirato la Tammi, visto che è un film fiacco per gli adulti, non abbastanza dinamico per i bambini e in ultima analisi troppo scialbo anche visivamente per chiunque. Fatevi un favore e risparmiate a voi stessi questa tortura cinematografica, un’operazione arrivata in ritardo, diretta con mano dilettantesca e priva di anima. In ultima analisi sembra proprio come i suoi quattro pupazzoni: la versione tarocca di qualcosa di interessante creato da altri.



[Fonte Wired.it]