Franca Leosini forever: la narratrice delle contraddizioni ancor più che dei crimini
Da Wired.it :
“So che è difficile lucidare i ricordi, specie quando sono ricordi dolorosi, mai impalliditi dal tempo”, dice Franca Leosini, con la sua impassibile, spietata eleganza a Filippo Addamo, il protagonista della prima puntata del suo nuovo programma, Che fine ha fatto Baby Jane?. Si tratta di uno spin-off del suo collaudatissimo franchise Storie maledette, in onda dal 1994, che questa volta indaga gli assassini dopo che hanno scontato la loro pena e sono tornati in libertà: come li ha cambiati il carcere? Com’è cambiata la loro storia? Addamo ha ucciso la madre con un colpo alla nuca nel marzo 2000, Leosini l’aveva incontrato in prigione quattro anni dopo, quando il ragazzo aveva 27 anni e doveva scontarne 17 dietro le sbarre. “Lei ha saldato i conti con la giustizia, ma con se stesso li ha saldati?”, chiede poi con uno dei quesiti a cui forse nessuno saprebbe rispondere.
Fa strano vedere Leosini in uno studio e quindi fuori dal suo habitat naturale, le quattro mura di un carcere che spesso, al suo arrivo, sono riallestite come una scena teatrale, luci calde e quinte disposte per creare maggiore drammaticità, ancora più spesso tanti libri alle spalle, a sottile suggerimento di redenzione, forse. Non che “la Franca” insegua per forza lo spettacolo quando rievoca efferati omicidi, delitti passionali, tremende sciagure. Ad alzare il tono drammatico e a trasformare il più truce dei resoconti in un ipnotico itinerario nella psiche, nel suo caso, è sempre la parola: laureata in Lettere moderne e con grande tradizione nei giornali (L’Espresso, Cosmopolitan, Il Tempo), la giornalista ha sempre avuto una fede incrollabile sul potere dell’eloquio. I quadernoni con cui affronta i suoi interlocutori, incalzandoli, inchiodandoli alla fattualità della carte processuali, sono pieni di colori e sottolineature: evidenzia le informazioni salienti, segna gli accenti sulle parole a cui dare enfasi.
È un copione, il suo, ma la finzione è poca: Leosini fa vanto di avere come metodo la verità, di studiare a fondo le carte dei processi, di non lasciarsi guidare dall’impeto emotivo ma piuttosto di lasciar parlare la “luce dolorosa dei fatti” e soprattutto i diretti interessati, anche attraverso testimonianze pregresse, frammenti di ricordi. “I miei interlocutori non sono mai professionisti del crimine, ma persone come me che a un certo punto della loro vita cadono nel vuoto di una maledetta storia”, dice lei e in questo c’è anche la sua sospensione di giudizio, l’amoralità (intesa come assenza di sentenza morale) con cui affronta i più.
Questo sulla carta, anche se i leosiners della prima ora sanno che “la Franca”, da napoletana in fondo verace qual è, il suo animo lo fa scaldare alla bisogna, e certe volte non le manda a dire. Mai compiacente, tendenzialmente accogliente, sempre disposta all’ascolto, ma mai disposta alla riscrittura della verità, al racconto autoassolutorio. Ma anche nei casi più arditi, sempre con la mano tesa: “L’istante in cui a lei sembra che le stia ponendo la domanda più spietata coincide con il momento in cui io voglio aiutarla di più”, disse durante un suo incontro carcerario.
C’è qualcosa di estremamente paradigmatico nel trionfo del brand Leosini. Dopo la fase della carta stampata, infatti, grazie ai suoi articoli di cronaca giudiziaria passa alla tv (“Seguivo il processo sull’omicidio di Anna Parlato Grimaldi… fui chiamata direttamente dalla Rai come autore per Telefono Giallo di Augias“) e da lì parte l’exploit di Storie maledette: dal 1994 il programma ho collezionato 17 edizioni (l’ultima l’anno scorso, sui casi di Sonia Bracciale e Francesco Rocca). Una longevità senza paragoni soprattutto per un genere, quello criminal-giudiziario, che nella tv italiana ha conosciuto alterne vicende (il suo analogo più compassato, Un giorno in pretura di Roberta Petruzzelli, non ha mai sfondato lo zoccolo duro dei telespettatori della terza serata del sabato di Rai3). La giornalista popola trasversalmente i palinsesti, dalle imitazioni tipo quella di Paola Cortellesi nel 2008 all’acclamatissima ospitata a Sanremo nel 2018. Il successo di Leosini dunque perdura e pervade, complice anche – ancora prima dell’epoca del true crime seriale che stiamo vivendo in questi ultimi anni – un inaspettato seguito online.
Il successo virale
Nel 2006 viene fondato Twitter, in Italia il boom dei cinguettii arriva due-tre anni dopo e con sé un’abitudine forsennata al second screen: guardare la tv commentandola in contemporanei coi follower social. Leosini è perfetta per essere sintetizzata e commentata nei 140 caratteri: le sue formule auliche, i suoi giudizi taglienti, le sue espressioni colorite e la tensione creata dal suo incalzare educato ma determinato sono retweet assicurati. Connesso a ciò è il fenomeno delle gif: la signora in giallo italiana è ritratta in miriadi di immagini animate: il suo dito puntato a incresparle il filo di perle, espressioni come “sentimentalmente genuflessa”, “relazione scopereccia”, “dito birichino”, il ciglio che si alza perplesso prima dell’inesorabile “Non è andata proprio così”.