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X-Men 2 dopo vent’anni rimane un discorso a parte
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X-Men 2 dopo vent’anni rimane un discorso a parte | Wired Italia



Da Wired.it :

X-Men 2 compie vent’anni. Leggerlo a molti di noi fa salire un groppo alla gola, misto ad un’ incredulità assolutamente comprensibile. Pare soltanto ieri, eravamo ragazzi, i cinema costavano molto meno ed erano molto più affollati, e quel 2 maggio del 2003 il secondo episodio della saga dei mutanti di Jack Kirby e Sten Lee entrava nelle nostre vite. Oggi possiamo tranquillamente dire che Bryan Singer abbia donato al mondo non solo un grandissimo cinecomic, il migliore mai fatto su dei personaggi Marvel, ma soprattutto un grandissimo film. Il mondo si rese conto che i personaggi dei fumetti potevano essere portatori di uno spirito dei tempi, farsi interpreti di paure, speranze e un particolare momento della società sul grande schermo.

Un film sui supereroi connesso al post 11 settembre

X-Men 2 ripartiva dalla fine del primo episodio e ci mostrava un’America ancora divisa, titubante, dove buona parte dell’opinione pubblica riteneva i mutanti un pericolo, anzi un errore della natura. La sceneggiatura di Michael Dougherty, Dan Harris e David Hayter fu creata ispirandosi al meglio di ciò che Chris Claremont aveva dedicato al Professor X, Magneto, Wolverine e tutti gli altri personaggi di quel coloratissimo mondo. La sequenza iniziale, con Nightcrawler che per poco non riusciva ad uccidere il Presidente degli Stati Uniti, rimane una delle più indovinate di sempre del genere e un simbolo di quel periodo. Da quel momento avremo fatto la conoscenza di una nemesi assolutamente fantastica, come quella del Colonnello Stryker (Brian Cox era un capo anche prima di Succession) deciso a cancellare i mutanti dalla faccia della terra. Fanatico, astuto manipolatore, si aggirava portando con sé il peggio dell’America in divisa. Poi c’era il Wolverine di Hugh Jackman, in realtà il protagonista principale del film. L’attore australiano riuscì a rendere il suo, un personaggio incredibilmente complesso, un misto di ferocia e vulnerabilità che l’avrebbe depositato in modo titanico dentro l’immaginario collettivo, come solo a Christopher Reeve era capitato.

X-Men 2 abbracciava in pieno un’identità ibrida, in cui alla dimensione dell’avventura, si associava a quella della spy story, dell’action anche a tinte forti. C’era molta violenza nel film, una quantità che oggi sarebbe probabilmente impensabile, con un tono cupo che lo rendeva serio, ma forse in realtà il modo migliore per definire X-Men 2 è quello di maturo.
Niente ironia adolescenziale, quella che infine ha contribuito a distruggere il cinecomic concepito dalla Marvel sul grande schermo, niente personaggi macchietta, ma un mondo in preda al caos, alla paura, vittima dell’eversione interna.

Avengers Infinity War

Il 23 aprile 2018 l’anteprima di un cinecomic diventato il simbolo di un percorso cinematografico incredibile, oggi purtroppo perduto

Fedele alla linea narrativa creata da Lee, X-Men 2 introduceva anche l’argomento della lotta politica, ben rappresentata dalla contrapposizione tra loro, tra il Professor X di Patrick Stewart, e un Magneto a cui Ian McKellen donò carisma, una forza di volontà e determinazione semplicemente incredibili. Il primo era un moderato che credeva nel dialogo, il secondo un rivoluzionario che non si fidava minimamente potere, delle istituzioni, sapeva che il diverso dalla norma verrà sempre perseguitato dalla società, quella americana in particolar modo. Del resto proprio in quell’inizio di XXI secolo il fenomeno era evidente.

Era il 2003, erano passati soltanto due anni dall’11 settembre, l’America era in preda ad un’ondata di nazionalismo crescente, la narrativa era quella della retorica militarista, dell’unità tutti i costi, dell’ostracismo verso qualsiasi forma di dissenso. La Presidenza di Bush Jr. aveva fatto provare il cosiddetto Patriot Act, oggi tranquillamente definibile come un atto di barbarie verso i diritti dell’uomo, Il partito repubblicano aveva fomentato un profondo razzismo e una profonda intolleranza verso le minoranze etniche e i musulmani. X-Men 2 anche per questo rimane un cinecomic diverso dagli altri, perché nella missione per smascherare Stryker, in quella trama fitta di complottismo, di cenni storici ai poteri oscuri che governano gli Stati Uniti e la sua politica, vi era giocoforza una rappresentazione anche di ciò che il paese era diventato. L’amministrazione Bush con la sua teoria del potere esecutivo unitario, con figuri come Dick Cheney o Donald Rumsfeld aveva reso l’America una negazione dei diritti. Le bugie che Stryker usava nel film, non erano diverse da quelle che Colin Powell avrebbe usato per giustificare l’invasione dell’Iraq, la montagna di balle a causa delle quali ci sarebbe stato un altro Vietnam, stavolta in Medio Oriente.

La perfezione di un film corale ineguagliabile

Il film regalava però grandi emozioni agli amanti dei fumetti grazie a sequenze action di grande impatto. Quella dell’attacco alla scuola di Charles Xavier ancora oggi ne manda tante a scuola e il cast corale composto anche da Halle Berry, Famke Janssen, James Marsden, Anna Paquin e Alan Cumming si muoveva con grande armonia. In X-Men 2 ogni personaggio veniva caratterizzato in modo efficace, con la Mystica di Rebecca Romijn che abbracciava per prima il concetto di fluidità nella narrazione moderna. Parte della critica all’epoca sottolineò come l’insieme bene o male non potesse allontanarsi della forte connessione con l’epoca della contestazione, con la generazione del ’68 e le sue diverse anime che lottavano contro il sistema. Qualcosa che convalida il legame di questo film con la situazione politica dei primi anni 2000, con l’America stretta nella lotta al terrorismo. In fin dei conti il clima non era diverso dall’epoca in cui il Governo di Johnson e Nixon aveva usato ogni mezzo per continuare una guerra inutile, per soffocare il dissenso, facendo carta straccia di leggi e diritti, dei principi fondamentali su cui teoricamente si basava la loro nazione.

Di fronte a tutto questo, definire X-Men 2 un film politico è sbagliato ma definirlo un film dai contenuti politici è pura verità. La sua finalità ultima, quella di intrattenere, era rafforzata quindi da una volontà di essere profondità, non semplicemente estetica. Gli effetti speciali, il trucco, le scenografie erano di altissimo livello, ma sarebbero stati vuoti a forma senza la capacità da parte di Bryan Singer di rendere l’insieme credibile, ma più ancora verosimile nei suoi personaggi ed eventi, senza risultare distante dalla quotidianità.

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l nuovo co-ceo di Dc Studios apre alla possibilità di un incontro tra i due team di supereroi

Wolverine, Ciclope, Tempesta, Jane, Rogue, tutti loro sono privi dalla leggerezza del MCU, come della dimensione semidivina che avrebbe cercato Snyder. Sono esseri umani dotati di poteri con cui convivono con grande difficoltà, per molti di loro è più una condanna che un dono.
La morte aleggia su tutto e tutti, così come rabbia e sofferenza, la loro differenza dalla norma li rende a tutti gli effetti non diversi da quegli afroamericani, la cui tragica situazione nella società americana aveva mosso la creatività di Lee e Kirby. Tutto questo lo rende non iconico come lo Spiderman di Raimi, ma sicuramente migliore come film in sé, come opera cinematografica in generale.

Quei primi anni 2000 videro la fine dell’illusione ottimistica degli anni ‘90, crollata con le Torri, il ritorno al medioevo bellico, la globalizzazione che strangolava l’opposizione a Toronto e poi Genova, il populismo che distruggeva il progressismo. X-Men 2 avrebbe avuto un epilogo della trilogia alquanto deludente, a cui però sarebbero seguiti i bellissimi prequel firmati ancora da Synger. Giorni di un futuro passato in particolare, assieme a questo rappresenta l’apice della qualità complessiva espressa dai personaggi Marvel in senso assoluto sul grande schermo.
Perché se lo Spiderman di Sam Raimi, se Robert Downey junior come Iron Man o il Cap di Evans li amiamo come fossero amici di famiglia, X-Men 2 invece descriveva un’epoca storica e noi che ne facevamo parte. Non aveva un universo cinematografico monumentale come quello che garantì ad Infinity War o Endgame di diventare oggetto di culto collettivo, ma cinematograficamente è molto superiore in ogni componente che valga veramente, in ogni aspetto che ci ricorda che il successo e l’importanza non sono la stessa cosa.



[Fonte Wired.it]

Elettricità, abbiamo bisogno di una rete diversa
| Wired Italia

Elettricità, abbiamo bisogno di una rete diversa | Wired Italia



Da Wired.it :

Oltre che ampliata, la rete elettrica andrà pure irrobustita. Come ogni fonte energetica, l’eolico e il solare hanno pregi e difetti. Uno di questi ultimi è l’intermittenza, ovvero l’incostanza della generazione a seconda del meteo: se inizia per esempio a tirare meno vento, o se il cielo si copre di nuvole, gli impianti non riusciranno a produrre quanto ci si aspetta da loro. È una conseguenza che non si può prevedere con precisione assoluta, e che rende più complicato il cosiddetto “bilanciamento” della rete: la domanda e l’offerta energetica devono coincidere sempre; l’elettricità che viene prelevata dalla rete in un dato momento – quando si accende una lampadina, o quando si mette a ricaricare l’auto – va pareggiata con l’elettricità che viene immessa. Altrimenti, se non si interviene, si verifica un blackout.

Flessibilità e batterie

Una rete elettrica composta in larga parte da fonti rinnovabili non programmabili avrà bisogno di maggiori servizi di flessibilità”, dice Benedettini. “In prospettiva, Terna e i gestori della rete di distribuzione si troveranno ad approvvigionare un volume crescente di servizi di flessibilità, ossia di maggiori o minori immissioni e prelievi di elettricità, per bilanciare domanda e offerta di energia per effetto della non programmabilità delle fonti rinnovabili”.

Le centrali a gas, essendo modulabili e fornendo energia in maniera continua, possono dare flessibilità alla rete”, prosegue l’analista. “Per gestire meglio la produzione rinnovabile e ridurre al minimo gli scostamenti sono poi importanti i sistemi di accumulo”, come le batterie. “Con un sistema di stoccaggio, infatti, l’energia che viene prodotta in eccesso rispetto alla domanda in una determinata ora può venire stoccata per essere venduta in un secondo momento, quando è più necessario per il sistema elettrico”.

Convincere i territori

Il Piano 2030 di Elettricità Futura per l’espansione delle rinnovabili immagina investimenti per 309 miliardi di euro da parte del settore. Per fare sì che si concretizzino, ricorda Benedettini, bisogna prima garantire la disponibilità della rete. “Per quanto ci sia una relazione biunivoca tra infrastrutture e investimenti, la letteratura economica sembra aver dimostrato in modo abbastanza conclusivo che almeno nel breve-medio termine è la realizzazione di infrastrutture a guidare gli investimenti”.

I fattori in gioco”, conclude, “sono tre. Il primo è la realizzazione di una adeguata infrastruttura di rete. Il secondo, è un sistema di permitting snello e dai tempi certi. Il terzo è la gestione dell’opposizione delle comunità locali.

Come dimostrano i casi di Piombino per il rigassificatore o di Vecchiano per l’elettrodotto di Terna, i territori sono spesso contrari alla costruzione di infrastrutture per l’energia. “Mentre è chiaro cosa ha determinato il populismo anti-Europa, è difficile determinare l’origine dell’opposizione sociale alle opere energetiche”, dice Benedettini. “È un fenomeno trasversale, che interessa persone di ceti e background culturali anche molto diversi, ma in generale le proteste nascono dove non c’è conoscenza. Questa situazione causa problemi sia agli investitori nazionali ma soprattutto a quelli stranieri, portandoli a rinunciare”.



[Fonte Wired.it]

Carlo III, quanto costerà l’incoronazione
| Wired Italia

Carlo III, quanto costerà l’incoronazione | Wired Italia



Da Wired.it :

A pagare, come per tutti gli eventi di stato, sarà il governo britannico, alias i contribuenti (mentre per i matrimoni reali paga la famiglia Windsor). Contribuenti che peraltro subiranno un’ulteriore perdita in termini di mancato guadagno: per tre giorni, da sabato a lunedì, il Regno Unito e le sue attività produttive chiuderanno i battenti come se fosse Natale, anche se i pub potranno restare aperti fino a tardi. Difficile calcolarne precisamente il costo, ma in occasione del Giubileo di platino della regina Elisabetta la società di consulenza Pricewaterhouse Cooper aveva fatto i conti: ogni giorno di vacanza in più, tenendo conto dell’impatto delle chiusure e dei premi al personale che lavora nelle festività, ha un costo vicino agli 850 milioni di sterline. Secondo gli esperti, tuttavia, la perdita sarà più che compensata dagli introiti del turismo.

Le voci di spesa

Nei 100 milioni di sterline previsti, a parte il costo della cerimonia vera e propria, una delle voci più corpose è certamente la sicurezza. Pur senza conoscere i numeri esatti, si può prendere per riferimento il matrimonio del principe Harry e di Meghan Markle nel 2018: la spesa in sicurezza è stata stimata in 30 milioni di sterline, inclusi cecchini, droni e polizia sotto copertura. Che saranno dispiegati soprattutto durante la parata, da Buckingham Palace a Westminster e ritorno a bordo delle carrozze.

Fiori e decorazioni costeranno cari, come anche le fotografie di Hugo Burnand: dopo aver lavorato al matrimonio del principe Harry e di Kate Middleton nel 2011 e a quello di Carlo e Camilla nel 2005, è stato scelto come ritrattista ufficiale per la prima foto della coppia reale.

Non mancherà la musica, altra componente salata del conto: il re ha commissionato personalmente i brani per la cerimonia, tra cui un inno del compositore del musical “Cats”, Sir Andrew Lloyd Webber. Buckingham Palace ha poi annunciato vari eventi per il fine settimana, il più vistoso dei quali è un concerto al Castello di Windsor domenica con Katy Perry, i Take That e Lionel Richie. E a proposito di stravaganze, è stata anche lanciata una campagna per reclutare e istruire migliaia di suonatori di campane per celebrare l’incoronazione, che risuoneranno nelle chiese di tutto il Regno Unito.



[Fonte Wired.it]

Eurovision 2023, tutto quello che c’è da sapere

Eurovision 2023, tutto quello che c’è da sapere



Da Wired.it :

Da quasi 70 anni l’Eurovision Song Contest è lo show musicale organizzato dalla European Broadcasting Union che ogni anno vede sfidarsi i migliori cantanti dei paesi europei (e non solo) e che tiene incollati milioni di spettatori davanti allo schermo. La competizione ha luogo nel mese di maggio, si articola in 3 serate e viene ospitata dal paese che ha vinto l’edizione dell’anno precedente. Per il 2023 – la sessantasettesima edizione – l’Eurovision Song Contest si terrà a Liverpool e gli artisti dei 37 paesi europei che prenderanno parte si sfideranno nelle serate del 9, 11 e 13 maggio 2023 nell’Arena di Liverpool. Nonostante il vincitore della scorsa edizione fosse una band Ucraina, Kalush, che si è aggiudicata la vittoria con il brano Stefania, per motivi legati al conflitto con la Russia, la manifestazione del 2023 è stata organizzata nel Regno Unito. Gli eventi e le iniziative legate al contest, invece, inizieranno ad animare la città già nelle settimane precedenti. Vediamo insieme come funziona l’Eurovision, come avviene la votazione e la scelta dei partecipanti e dei vincitori della competizione più famosa d’Europa.

  1. La storia dell’Eurovision Song Contest
  2. Le regole e la votazione
  3. Gli eventi
  4. I partecipanti e le canzoni

La storia dell’Eurovision Song Contest

Non tutti lo sanno, ma l’Eurovision Song Contest è nato su iniziativa della Rai e su esempio del festival della canzone italiana di Sanremo e del Festival internazionale della canzone, organizzato dalla Rai dal 1955 a Venezia, a cui hanno partecipato Austria, Francia, Belgio, Italia, Monaco, Olanda e che però veniva trasmesso solo via radio. Il 1954 è l’anno di nascita dell’Eurovision Network, il canale di trasmissione televisivo europeo, creato da un’idea di Marcel Bezençon, il direttore generale della Swiss Broadcasting Corporation. Il contest è stato introdotto sulla rete su decisione dell’Assemblea generale di Roma del 1955. La prima edizione dell’Eurovision si è tenuta l’anno seguente a Lugano, il 24 maggio del 1956, ed è nata come esperimento per la trasmissione simultanea della diretta dello show nei diversi paesi partecipanti, 7 nella prima edizione – Svizzera, Belgio, Lussemburgo, Germania, Francia, Olanda e Italia -, ognuno dei quali ha presentato 2 canzoni. La vincitrice della prima edizione è stata Lys Assia, la rappresentante della Svizzera, con Refrain.

Le regole e la votazione

Gli artisti che partecipano al contest vengono selezionati dalle emittenti dei paesi che fanno parte dell’European Broadcasting Union, che devono presentare la loro scelta entro la metà di marzo ogni anno. La selezione può avvenire attraverso i contest nazionali, lasciando al pubblico la parte più grande della scelta, o attraverso le etichette musicali senza coinvolgere il pubblico. Inoltre, è possibile anche il formato misto in cui, ad esempio, l’artista viene scelto dall’emittente e la canzone con cui parteciperà al contest dal pubblico. La competizione ha luogo in tre serate: la prima semifinale, che si tiene martedì sera, la seconda semifinale, organizzata per giovedì sera, e il gran finale nella serata conclusiva di sabato, a cui partecipano di diritto i Big Five, ovvero i cantanti che rappresentano Germania, Francia, Italia, Spagna e il Regno Unito, ai quali si aggiunge anche l’artista del paese ospitante.

Per partecipare gli artisti devono presentate una canzone originale, della durata inferiore o uguale 3 minuti, che dovrà essere eseguita dal vivo. Il limite di persone che possono essere presenti sul palco durante ogni esibizione è di 6. Durante le semifinali le votazioni vengono effettuate dopo ogni esibizione dal pubblico con il televoto – non si può votare per il proprio paese -, mentre durante il gran finale voterà anche la giuria, composta dai professionisti dell’industria musicale. Dopo ogni semifinale, ogni paese realizza una classifica a cui assegna 12 punti al primo classificato, 10 punti alla secondo, 8 punti al terzo, fino ad arrivare a 1 punto per il decimo classificato. Per la finale vengono azzerati i voti delle altre due semifinali. Non solo: un’altra delle novità di questa 67esima edizione sarà la partecipazione degli spettatori di tutto il mondo al televoto. I voti dei paesi che non prendono parte al contest, figureranno come il voto di un unico paese.

Gli eventi

Oltre alle semifinali e alla finale, l’Eurovision Song Contest prevede anche una serie di eventi e iniziative che vengono organizzati nella città che ospita la manifestazione. Tra questi anche l’istituzione di un Eurovision Village, le prove sul palco e le prove dei vestiti degli artisti. Solitamente viene anche allestito un Red carpet o una cerimonia di accoglienza. Per questa edizione l’Eurovision Village sarà allestito a Pier Head e per le prime due settimane di maggio ospiterà gli eventi dedicati al contest. Dal 5 maggio al 13 maggio sarà possibile partecipare all’EuroClub, l’after-party al Camp and Furnace con dj set ed esibizioni dal vivo con ospiti come Charlotte Perrelli, KEiiNO, Linda Martin e Conchita Wurst e tanti altri. Dal 1 al 14 maggio avrà luogo l’EuroFestival, con performance ed esposizioni in tutta la città. Per tre settimane, invece, si terrà al Royal Albert Dock un palinsesto di eventi, anche legati al cibo ucraino, e l’esposizione dell’opera Floating Earth dal 28 aprile al 18 maggio. Da domenica 30 aprile, anche Concert Square ospiterà una serie di esibizioni. Seguiranno anche altre due feste domenica 7 maggio e sabato 13 maggio.



[Fonte Wired.it]

Aspirapolvere senza fili, meglio il Dyson o un’alternativa economica?
| Wired Italia

Aspirapolvere senza fili, meglio il Dyson o un’alternativa economica? | Wired Italia



Da Wired.it :

Quale aspirapolvere senza fili scegliere? Dyson V15 Detect Absolute e Hoover HF9 sono fra i migliori del mercato e, anche se hanno prezzi diversi, condividono la stessa filosofia. Abbinano la tecnologia ciclonica a una grande versatilità di impiego. Questo è possibile grazie a motori potenti, dimensioni compatte, tanti accessori e un sistema di accumulo polvere facile da gestire.

Dyson dichiara una potenza massima di 240 Airwatt che entra in azione in modalità turbo, mentre normalmente opera a circa 47 Airwatt, secondo gli specialisti di Vacuum Cleaner Advisor. Hoover dichiara 63 Airwatt massimi, ma non si conosce la sua soglia intermedia. Le dimensioni del Dyson V15 sono di 1260 x 266 x 260 mm, mentre il peso è di circa 3,1 kg se si considerano gli accessori più usati come l’asta lunga e la spazzola Digital Motorbar. L’Hoover HF9 misura 1110 x 216 x 260 mm, quindi è leggermente meno ingombrante ma abbinando nuovamente gli accessori più comuni il peso raggiunge i 3,4 kg. Questa differenza sembrerebbe favorire il primo, ma in realtà ciò che conta davvero è il bilanciamento, come abbiamo scoperto in sede di test ed esperienza d’uso.

A ogni modo il Dyson V15 Detect Absolute include come accessori la nuova spazzola Digital Motorbar, la spazzola con luce integrata, la Mini turbo spazzola anti-groviglio per i peli degli animali, la stazione di ricarica, la bocchetta a lancia, la clip, l’adattatore per angoli nascosti, il caricatore e la spazzola multi-funzione. Il prezzo di listino è di 679 euro per la versione Detect, che però online si trova a cifre inferiori (549 euro in offerta), e di 799 euro per la Detect Absolute (749 online)

L’Hoover HF9 è disponibile in tre colorazioni che contraddistinguono solo la dotazione abbinata. La versione blu della nostra prova è quello intermedio con una batteria, spazzola con luci a led, mini turbo-spazzola per peli di animali, accessorio per il montaggio al muro, alimentatore e bocchetta a lancia. Il prezzo consigliato è di 449 euro, ma si trova a poco più di 400 euro, mentre la versione base (rossa) senza accessorio Pet costa circa 300 euro e quella top (verde) con doppia batteria costa poco più di 500 euro.



[Fonte Wired.it]

le ricerche non stanno portando risultati, ma il Pentagono non molla
| Wired Italia

le ricerche non stanno portando risultati, ma il Pentagono non molla | Wired Italia



Da Wired.it :

Come è evidente, il moltiplicarsi di segnalazioni di uap è probabilmente legato anche al numero crescente di palloni aerostatici nei cieli di tutto il mondo. Dei 350 oggetti non identificati dettagliati nel rapporto dello scorso gennaio, infatti, 163 riguardavano oggetti di forma simile a palloni aerostatici. E rispondendo alle domande del comitato del Senato americano, Kirkpatrick ha ammesso che, almeno in un certo numero di casi, ci sono ottime probabilità che gli uap si riveleranno veicoli sperimentali messi in campo da potenze rivali, come Cina e Russia.

“Sono meno spaventati dal progresso tecnologico di noi. Sono disposti a sperimentare cose nuove, e vedere se funzionano – ha commentato – Esistono tecnologie che possono essere utilizzate contro di noi per la sorveglianza o come armamenti? Assolutamente. Ho qualche prova che sia questo il caso? No, ma gli indizi sono piuttosto preoccupanti”.

E gli alieni?

Per ora, insomma, al pentagono sembrano più preoccupati di scovare nuove tecnologie di intelligence russe o cinesi, piuttosto che le prove dell’esistenza di dispositivi extra terrestri nei cieli del nostro pianeta. Questo non vuol dire che la possibilità non sia presa sul serio. Anzi, lo stesso Kirkpatrick di recente ha unito le forze con uno degli scienziati più attivi nella ricerca di civiltà e tecnologie aliene, Avi Loeb, principale sostenitore della possibilità che l’asteroide interstellare Oumuamua fosse in realtà un’astronave extraterrestre, per indagare la possibilità che gli uap avvistati sulla Terra non siano altro che sonde aliene inviate in avanscoperta da una nave madre di passaggio nel nostro sistema Solare.

Il paper, per ora in attesa di pubblicazione, ha in realtà l’obbiettivo di descrivere quali tracce permetterebbero di identificare un oggetto con capacità di volo realmente inspiegabili dalle attuali conoscenze scientifiche terrestri. Ma per buona parte, il testo è dedicato a descrivere la possibilità che una nave interstellare aliena di passaggio invii delle sonde sui pianeti del nostro sistema Solare, in cerca di carburante, risorse di altro tipo, per motivi di studio o semplicemente ragioni che ci sfuggono completamente. Da un lato, la pubblicazione online dello studio è stata accolta come una dimostrazione dell’apertura mentale con cui il Pentagono sta lavorando alle indagini sugli uap. Dall’altro, non sono mancate le critiche alla scelta di Kirkpatrick, in qualità di direttore di un ufficio della difesa americana, di associare il suo nome a quello di uno scienziato come Loeb, le cui teorie sono ritenute quanto meno discutibili da una fetta preponderante della comunità scientifica.

Dal canto suo, Loeb non sembra curarsi dell’opinione dei suoi pari, e continua ad andare a caccia di prove della presenza di veicoli alieni nei pressi della Terra con il suo Galileo Project, lanciato nel 2021. Solo il tempo, ovviamente, potrà dirci chi aveva ragione. E il momento della riscossa potrebbe non essere troppo lontano: uno studio dell’università della California ha infatti calcolato quali probabilità ci sono che una qualche civiltà aliena possa aver intercettato le comunicazioni inviate dal nostro pianeta in direzione delle sonde che hanno superato i confini del nostro sistema Solare, come le Voyager 1 e 2, concludendo che una qualche razza di alieni in ascolto potrebbe captare i nostri messaggi e decidere di rispondere, al più presto, per il 2029.



[Fonte Wired.it]